sabato 1 settembre 2007

DISTURBIA

Dai tempi de “La finestra sul cortile” sappiamo benissimo che è pericoloso spiare il vicino…. Ma è anche pericoloso stare troppo “appiccicati” a modelli insuperabili, come succede a “Disturbia”, il film diretto da David J. Caruso (“The Salton Sea”, “Rischio a due”) e scritto da Christopher Landon e Carl Ellsworth, ambedue con la mente fin troppo rivolta al capolavoro hitchockiano.
Spostato sul versante adolescenziale con l’utilizzo di una nuova star come Shia LaBeouf (apparso in “Guida per riconoscere i tuoi santi” ed ora consacrato da “Transformers” e dal ruolo di una carriera, ovvero il figlio di Indy nell’attesissimo quarto episodio di “Indiana Jones”), presenza in grado di attirare in America molti teen agers raccogliendo ben ottanta milioni di dollari al botteghino, “Disturbia” è la storia di Kale, giovanotto che ha visto morire il padre in un incidente e in un momento di rabbia ha tirato un cazzotto in faccio al suo prof di spagnolo. Morale della favola: arresti domiciliari con tanto di braccialetto alla caviglia che gli impedisce di uscir fuori dal cortile e controllo da parte della madre apprensiva (è Carrie Ann-Moss) che cerca in tutti i modi di ristabilire l’equilibrio familiare. Quindi niente X-Box e niente tv per Kale e nella noia della prigionia non rimane altro che osservare i vicini di casa. Il che va bene quando si tratta di scrutare i particolari della vita della bellissima dirimpettaia appena arrivata nel quartiere, Ashley (Sarah Roemer), un po’ meno quando Kale inizia ad avere sospetti riguardo al signor Turner (David Morse): che sia effettivamente il serial killer che rapisce ragazze con i capelli rossi e che sta terrorizzando la provincia? Ovviamente nessuno crede a Kale e le prove raccolte non riescono a convincere neanche i poliziotti…
Il thriller “Disturbia” ha se non altro il vantaggio di uscire per un attimo dalla media dei prodotti orrorifici confezionati per il pubblico giovanile, giocando sulla tensione che non sugli effettacci sanguinolenti. Ma la narrazione non appare del tutto convincente e il continuo richiamo alla celebre finestra del “mago del brivido” e David Morse che prende troppo a riferimento l’Anthony Hopkins modello “Hannibal Lecter” ne fanno perdere in vitalità ed originalità, anche per via di un ritratto di quartiere troppo “costruito” e non sempre in grado di suscitare la giusta inquietudine stile “il mio vicino è un killer”.
Rimangono la faccina da bravo ragazzo del giovane interprete e qualche colpo finale che alza il tasso di adrenalina e riesce se non altro a riportare l’attenzione dello spettatore verso un prodotto di non particolarmente esaltanti intuizioni cinematografiche e narrative.

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