mercoledì 5 settembre 2007

4 MESI, 3 SETTIMANE, 2 GIORNI


Palma d’Oro al Festival di Cannes 2007 per “4 mesi, 3 settimane, 2 giorni”, un ritratto amaro, desolante e tragico della Romania comunista, negli ultimi anni della dittatura Ceausescu. Un paese raccontato attraverso la dolorosa esperienza di due studentesse, Otilia (Anamaria Marinca) e Gabita (Laura), fissata sul grande schermo dalla sceneggiatura e dalla regia di Christian Mungiu, quarant’anni, carriera da insegnante alle spalle ed una filmografia che comprende alcuni corti ed il film “Occident”, comparso nel 2002 alla Quinzaine des réalisateurs a Cannes.
1987, in uno studentato Gabita riempie nervosamente la valigia. Si sta preparando per un viaggio, assieme all’inseparabile amica Otilia, ma l’itinerario è quanto mai doloroso: la sua meta è infatti una camera d’albergo a Bucarest dove incontrerà il signor Bebe (Vlad Ivanov) per abortire clandestinamente. A dolore si aggiunge dolore perché il meticoloso e severo Bebe chiede alle ragazze prestazioni sessuali in cambio del servizio e Otilia deve pure risolvere alcune questioni con il fidanzato.
La macchina da presa del regista si insinua con grande rigore negli spazi chiusi, nei silenzi “chiassosi”, nel dramma palpabilissimo delle due ragazze, nella tensione di Otilia, bloccata a casa del fidanzato per il compleanno della mamma di quest’ultimo e desiderosa di avere notizie sullo stato di salute dell’amica e nella disperata corsa notturna di Otilia nel buio avvolgente della notte per sbarazzarsi in modo impietoso di quel feto che ha vissuto solo quattro mesi, tre settimane e due giorni (da qui il titolo).
Molta macchina da presa fissa e qualche piano sequenza in questo quadro intimo eppure così tristemente collettivo per narrare la storia di un paese che ha sofferto (dal 1966 al 1989 in Romania sono state registrate novemila donne morte per le interruzioni di gravidanza) e che fatica a fare i conti con il suo tragico passato. Un contributo viene proprio dal film di Mungiu che attraverso la toccante esperienza di Gabita e Otilia racconta, con una decisa prova di carattere, le lacerazioni individuali causate da un mondo “controllato” ed impossibilitato a trovare la sua libertà.
Peccato che il regista abbia deciso di scioccare il pubblico con l’immagine del feto abbandonato sul pavimento del bagno: una scena non necessaria, visto anche che per tutta la durata del film il regista tende a suggerire più che mostrare mostrando una sua brillante personalità. Gli sguardi smarriti, la paura ed i silenzi delle due ragazze (come quello conclusivo a tavola) sono molto più eloquenti di un momento francamente disturbante.

Nessun commento: