New York sta scomparendo: lo sa bene la giornalista Erica Bain, interpretata da Jodie Foster, che raccoglie da anni gli umori, i suoni e le sensazioni della città sul suo fido registratore e li “trasporta” nella sua seguitissima rubrica radiofonica. Erica è la protagonista di “Il buio nell’anima”, il nuovo film diretto da Neil Jordan, con sceneggiatura di Roderick Taylor, Bruce A. Taylor e Cynthia Mort, storia ad alto tasso drammatico in cui la donna, vicina alle nozze con un giovane dottore (interpretato da Naveen Andrews), vede frantumare tutta la sua esistenza per colpa di un gruppo di brutali teppisti che pestano a sangue la coppia durante un’aggressione per futili motivi. Al risveglio dal coma Erica scopre con orrore che il suo amato David non c’è più e nel suo cuore si insinua un sentimento di vendetta che la porta ad armarsi di pistola e a diventare una giustiziera con rimorsi che emergono ma che non le impediscono di freddare con lucidità tutti i violenti che le capitano a tiro. La sua strada è destinata ad intrecciare quella dei suoi aggressori, ma c’è un detective (Terrence Howard) che inizia a sospettare di Erica, anche se il poliziotto nutre degli affetti per la giornalista, incontrata durante le indagini relative alla scia di crimini che sconvolge la città.
Il nuovo film di Jordan (“The Brave One” in originale), nonostante i sensi di colpa della protagonista, divisa nel cuore e nella mente, con una parte che chiede lo “stop” e l’altra in cerca di personale giustizia e nonostante tutto il suo carico di frustranti ansie metropolitane, dove la città non è più un luogo sicuro, ma un vivaio di “mostri” normali ma pronti ad esplodere in ogni momento, si delinea attraverso discutibili scelte narrative e stilistiche (brutta la scena in cui Erica viene preparata per l’operazione, alternata ai ricordi d’amore con il suo fidanzato…) e con contenuti non certo condivisibili (ma siamo ritornati al “Giustiziere della Notte”?), compreso il dubbioso finale. Si assiste così ad un’opera più “su commissione” con Jordan che quasi sparisce nella produzione, fagocitato probabilmente dalla figura della Foster, comunque brava nel suo doloroso ruolo, che del film è anche produttrice (assieme a Joel Silver) e che sembra tenere maggiormente in mano le redini del progetto. Dal regista irlandese, che ha firmato, ricordiamolo, opere come “Mona Lisa” e La moglie del soldato”, siamo abituati a progetti più personali e stimolanti e questo sembra essere più un prodotto “alimentare”, una di quelle trasferte hollywoodiane che il più delle volte non hanno certo giovato ai registi europei.
Nel cast compaiono anche Mary Steenburgen e Nicky Katt, le musiche sono di Dario Marianelli (un po’ il musicista del momento, suo anche lo “score” di “Espiazione”) e la fotografia di Philippe Rousselot, mentre per il montaggio Jordan è riuscito a mantenere il suo abituale collaboratore Tony Lawson.
Paolo Pagliarani
mercoledì 10 ottobre 2007
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